Diverse parti politiche hanno tentato, e tentano ancora oggi, di guadagnare il cd. centro,
ovvero l’equidistanza politica tra la destra e la sinistra e, fino ad oggi, ogni tentativo è fallito
con la scomparsa, o quasi, di quei movimenti.
Il motivo è che, soprattutto in Italia, non esiste un centro atteso che la società,
fondamentalmente, è divisa in due parti e la suddetta suddivisione trova origini di natura
sociale più che economica.
La suddivisione esisteva già da prima della Costituzione Repubblicana; ancora oggi il
codice civile, che è una legge ordinaria del 1942, all’art. 2095 cita, in maniera
anacronistica, che i lavoratori subordinati si dividono in: dirigenti, quadri, impiegati ed
operai; tralasciando i dirigenti, che non hanno mai fatto parte del “ceto medio” ed i quadri,
che sono stati introdotti solo negli anni ottanta con una leggina cd. “elettorale” (per ovviare
ai danni che aveva creato agli impiegati la cd. contrattazione unica) negli anni quaranta il
ceto medio italiano (dipendente) era costituito, per la maggior parte, da operai ed
impiegati; con l’industrializzazione degli anni cinquanta e sessanta tale situazione si è
consolidata.
Questa distinzione e suddivisione del ceto medio, con la contrattazione unica, ha
evidenziato una minore diversificazione economica, accentuandosi quella sociale; si
veniva a creare un ceto medio inferiore ed uno superiore, per lo più distinti dalla maggiore
scolarità, soprattutto dei figli, e dalla vocazione al risparmio, da parte del ceto medio
superiore al quale avevano iniziato ad accedere, negli anni sessanta e settanta, molti
operai o figli di operai che avevano studiato e risparmiato e si erano piazzati in posizione
di vantaggio sociale.
Ad oggi ancora resiste questa differenziazione che rende incompatibile, politicamente, un
movimento di centro che possa abbracciare entrambe le categorie che sono rimaste,
sempre, distanti dal punto di vista ideologico anche in quanto la politica ha accentuato la
suddetta suddivisione sulla base del principio “divide et impera” incolpando l’una dei
problemi dell’altra.
Il panorama politico che si inquadra nei due schieramenti, uno di centro destra ed uno di
centro sinistra, pertanto, trae origine dai ceti popolari ed esclude un centro neutro; in
precedenza c’era la D.C., che rappresentava molti del “ceto operaio” ma non dobbiamo
dimenticare che, quel “centro”, in realtà traeva la sua forza attrattiva dalla sua
caratteristica di partito a vocazione teocratica (si ricorderanno le campagne anticomuniste
dell’arcivescovo Ottaviani).
A seguito della caduta della prima repubblica la suddivisione si è stabilizzata ed il voto si è
orientato al centro destra o centro sinistra a seconda del ceto sociale; a questo punto una
domanda è d’obbligo: come avviene l’alternanza se esistono due ceti definiti e pressoché
immutabili dal punto di vista numerico? Come, pertanto, i movimenti politici possono
indurre lo spostamento da un ceto all’altro al fine di acquisirne il voto?
A parte qualche esempio di passaggio da medio basso al medio alto, invero limitato a
epoche precedenti quando l’ascensore sociale ancora funzionava, ed a qualche raro
passaggio all’estrema destra di coloro che, invece, sono passati dal ceto medio alla
povertà (e lo hanno imputato alla sinistra), la vera variante è costituita da quella che è
ritenuta, a torto, una costante, ovvero l’area dell’astensione; il partito degli astensionisti, è
risaputo, è diventato il partito di maggioranza e sta per diventare (in qualche caso lo è già
diventato) di maggioranza assoluta.
In questo “deep web” ci sta un po’ di tutto: persone che vivono ai margini della società,
indolenti, indifferenti ai fatti politici e sociali e, naturalmente, i delusi.
Il fatto è che noi riteniamo, a torto, che l’astensionismo sia visto come un serbatoio di
potenziali voti per cui, la propaganda elettorale, sia diretta per lo più a catturare consensi
in quest’area di “indecisi”; probabilmente, infatti, è vero il contrario; la propaganda politica
non serve tanto a catturare voti dal “deep web” dell’astensionismo, quanto a gettare in tale
serbatoio i voti degli avversari; così è molto più semplice denigrare l’avversario e fargli
perdere voti acquisendo, proporzionalmente, percentuale sui propri votanti, piuttosto che
proporre progetti ed eseguirli e conquistare un sano consenso.
E’ una politica del “fuori gioco” non si creano azioni, ma si aspetta di frustrare quelle
avversarie creando il vuoto alle proprie spalle; così che chi sta all’opposizione non
propone, ma denigra, in modo da fare finire in “fuori gioco” gli avversari ed aumentare così
il “peso” del singolo voto.
Purtroppo c’è un motivo umano in tutto questo; puoi governare bene per anni che, per fatti
risibili, rischi di perdere in poco tempo la stima degli elettori; nessuno ricorda ciò che si è
fatto di buono, ma prevale il livore nei confronti di chi governa. Questo è il motivo per il
quale prevale il clientelismo al buon governo; il buon governo non lo apprezzerà nessuno,
la paura di perdere indebiti privilegi è più forte. Purtroppo la politica è, soprattutto, questo.
La chiamo la “sindrome di Temistocle”. Temistocle era un politico che aveva governato
bene per Atene ma, alla fine, era stato ostracizzato dai suoi avversari politici supportati,
pare, dalla nemica Sparta.
Qualche amministratore di condominio incontrerà una certa analogia tra quanto detto e
quanto avviene nei condomini; non serve quanto bene agisci, ma quanto riuscirai ad
assicurarti il voto in assemblea, magari non proprio in maniera trasparente,
avvantaggiando indebitamente l’uno o l’altro.
presidente Alac Nazionale
avv. Paolo Gatto