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FANTOZZI, L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO ED IL SISIFO FELICE DI CAMUS


 In molti sostengono di invidiare Fantozzi; aveva un posto fisso a tempo indeterminato ed una casa in proprietà e questo gli aveva permesso di farsi una famiglia e di condurre una vita, per lo più, tranquilla e decorosa; poteva contare su benefici, oggi, tutt’altro che scontati.
In realtà il personaggio nasce nel 1971 in un momento in cui la società civile, fondata sul capitalismo e, soprattutto, sul consumismo, iniziava ad evidenziare le sue contraddizioni; un sistema fondato sulla gerarchizzazione, sui privilegi, connotato da una diffusa corruzione. Da lì a due anni la crisi petrolifera avrebbe dimostrato la fragilità del nostro boom economico e del nostro sogno americano, iniziando una caduta che ancora non solo non si è fermata ma, a tratti più o meno frequenti, continua a fare sprofondare la nostra società.
Fantozzi, per chi ne ha studiato la psicologia, o meglio, la filosofia, rappresenta l’italiano medio, che era lo stesso che andava a vedere i suoi film per esorcizzare l’inconscia (o fin troppo consapevole) analogia della sua vita con quella del personaggio ed al fine di prenderne le distanze o di ripromettersi, illudendosi, di non ripeterne le azioni.
Fantozzi descrive la società del tempo; il lavoratore alienato, oppresso ed umiliato dai superiori e dai colleghi, in un sistema fortemente gerarchizzato dove il pesce più grande mangia il pesce più piccolo, ma dove il protagonista è, pur sempre, felice, ancorché sia consapevole che i suoi rari momenti di lucida ribellione non lo solleveranno da quel peso, in quanto non può e non vuole rinunciare a quella società consumistica; viene equiparato al Sisifo di Camus, felice di portare il masso fino in cima per poi vederlo rotolare a valle e riportarlo ancora una volta alla vetta.
Nei film di Fantozzi non esiste l’amministratore di condominio; l’unica scena “condominiale” vede una riunione trasformarsi immediatamente in una rissa, ma l’amministratore non c’è; la sua presenza torva e minacciosa non incombe come avverrebbe oggi.
Il motivo di questa assenza è che l’amministratore di condominio, a quel tempo, faceva parte di un terzo settore ancora agli albori; quel terzo settore di pochi professionisti fortunati che si sottraevano alla società gerarchizzata del “borghese e dell’operaio del nostro mondo diviso in due”, come riproduceva la sigla di una trasmissione degli anni ‘70. Faceva parte di quella piccola borghesia che sarebbe stata, in seguito, aggredita proprio da quella “congiura” padrone-operaio che l’avrebbe messa all’indice quale colpevole dell’evasione e, quindi, di tutti i problemi e l’avrebbe condannata alla miseria.
Quel terziario piccolo borghese iniziava a crescere allora, ma la sua crescita non è stata una crescita sana, dovuta allo sviluppo industriale ed al conseguente sviluppo di nuove professionalità, ma è stata una crescita indotta proprio dalla fuoriuscita dalla grande industria; i figli dei Fantozzi il posto fisso non lo avrebbero più avuto, ma non si potevano incolpare gli industriali (ormai in combutta con le conferedazioni) ma proprio quello stesso ceto medio professionale al quale i figli di Fantozzi erano stati costretti ad appartenere (come ora si dà la colpa ai troppi avvocati per i guai della giustizia). Ed è allora che troviamo, nella cinematografia più prossima, il medico cinico e disonesto, l’avvocato corrotto ed infedele e l’amministratore di condominio maneggione e ladro.
Oggi la società si è trasformata; la ricchezza si concentra nelle mani di pochi ed è globalizzata; andiamo verso la negazione di quei diritti che pensavamo di aver conquistato in maniera definitiva.
Diciamolo chiaro, il nostro sogno era americano proprio perché erano gli americani a finanziarlo, per evitare una Jugoslavia nel Mediterraneo che avrebbe comportato conseguenze inimmaginabili a livello mondiale; ma gli americani ci compravano con i diritti e, come ho avuto modo di esprimere in occasione dell’assemblea nazionale, i diritti esistono solo nel nostro sistema geopolitico occidentale.
Il diritto assoluto moderno nasce in virtù delle grandi religioni monoteistiche occidentali che hanno tratto origine dalla cosmologia platonica; secondo il filosofo greco esiste un “mondo delle idee” perfetto, ed un mondo imperfetto, il nostro mondo “sensibile”; l’imperfezione del nostro mondo fa sì che ci si sforzi di migliorarlo attraverso i dirittii.
I diritti, da noi, trovano le radici nel medio evo, nei monasteri, dove si studiava teologia e filosofia, insieme al diritto e dove sono nate le prime categorie che, in seguito, saranno prerogativa del cartesianesimo e, con la rivoluzione francese, diventeranno la base delle nostre civiltà contemporanee.
Diverso è il taoismo dove l’universo è unico e ciclico e, di conse- guenza, razionale e perfetto e non vi è, fondamentalmente, differenza tra mondo fisico e mondo metafisico; tale interpretazione del mondo può portare ad una sorta di “fatalismo” politico, sociale ed economico, con le conseguenti ingiustizie e disugualianze. Ma con l’economia globale i nostri diritti non significano più niente proprio perché altrove non sanno neppure cosa siano; possono averli scopiazzati per convenienza, ma non ne hanno una reale consapevolezza; l’America ci comprava dispensando posti di lavoro, salute pubblica, pensioni, perché voleva affermare il suo modello fondato proprio sui diritti; oggi chi vuole raggiungere dei risultati non ha bisogno di compiacere i cittadini, gli basta corrompere chi governa e se qualcuno mi dà del complottista è perché que- sto non avviene, come immaginavamo con dietrologia paranoica, attraverso canali segreti e commercio di influenze occulte ma, a quanto pare, con sacchi di soldi in contanti.
Tornando al Sisifo felice di Camus, l’immagine del mito a me richiama una storia che veniva tramandata nella mia famiglia; raccontavano che, parecchie generazioni addietro, quando i miei avi in Piemonte si erano costruiti la casa (ancora oggi appartenente alla mia famiglia) trasportavano, da valle, le pietre con il carro trainato dai buoi; una volta la sponda si era rotta e le pietre erano rotolate di nuovo sulla riva del torrente; non penso fossero molto felici, lo sarebbero stati di più ai giorni di Fantozzi, o ai nostri.
Se è vero, pertanto, che la società consumistica è piena di difetti e contraddizioni, bisogna riconoscere che è stata la nostra epoca migliore e se oggi ci dicono che dobbiamo condividere i nostri diritti con gli altri, visto che gli “altri” non sanno neppure cosa siano, significa che dovremo tout court rinunciare ai nostri; diciamolo chiaro, non è che mi importi un baffo che il mio vicino di casa abbia la macchina più bella della mia, quello che interessa a me ed alla maggior parte dei cittadini è che, su cento bambini che nascono (e che nascano!), cento raggiungano l’età adulta; e qui mi ritorna in mente mio nonno, proprio in quella casa in Piemonte, il cui fratello maggiore (che non aveva mai conosciuto e del quale aveva ereditato il nome) era morto di polmonite nella culla; e diciamo anche che rinunciare ai diritti, per tornare a quei tempi, farebbe incazzare anche il più felice Sisifo di Camus.

1. S. Scrima-Filosofia di Fantozzi-Ed. Il Melangolo.

Paolo Gatto
Presidente Nazionale ALAC



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